OMO RIVER RAID - Etiopia
di Marco Gumina
foto espandibili
Alcune
sere prima della partenza una mia amica somala, che ha vissuto diversi anni
in Etiopia, mi aveva avvertito; “ Vai in moto in Etiopia ? Ma piove là” E io
incredulo, anche se la Lonely Planet parlava di “piccole piogge”, si sa
piccolo è piccolo. Infatti, dopo il volo Roma - Addis arrivo nella capitale
dove regna l’afa tipica dei climi piovosi, ma c’é il sole. Il giorno dopo
ritiriamo le moto in dogana e arrivano le prime gocce, forse la mia amica era
d’ accordo con Lonely Planet ? Addis è una città caotica e piena di smog, la
lascio volentieri, sotto lo sguardo severo di una stele coronata da una
stella rossa, segno del passato regime socialista del Derg. Arriviamo ad un
fantastico incrocio attraversato dai binari del treno, dove le macchine
sembrano impazzite nel tentativo di passare, mentre il treno procede a passo
d’uomo, lento e inesorabile. Proseguiamo verso Sud, direzione: Bale Mountains,
arrivano le prime piste di terra rossa e dura, quelle da cartolina per
intenderci. La mia BMW GS 80 BASIC non è proprio nata per questo, ma forcella
indurita e la voglia di completare il viaggio possono molto, arriviamo a
tarda sera a Dodola, coperti di polvere. Cena, chiacchiere e sonno ci
preparano per il giorno seguente, incredibile; splende il sole ! Sosta di
gruppo per il rifornimento e assedio dei locali che letteralmente ci
circondano per scrutarci e commentare. Si parte, la pista ci porta
rapidamente a Dinsho, dove ci sistemiamo per la notte , e poi Goba. Da Goba
proseguiamo per l’ altopiano di Sanetti, comincio ad avere seri dubbi, amo il
caldo ed il deserto, sono stato in Libia ad Agosto con 50° gradi ed ero
felice. Qui mi ritrovo lungo un strada di terra e sassi, che si inerpica in
mezzo a foreste verdi smeraldo, mentre la temperatura è tipicamente
montana.
Il paesaggio è stupendo; montagne verdi con diversi laghetti, i guadi rendono
più frizzante la guida fino all’altipiano dove si narra viva il mitico Lupo
Etiope, il canide più raro al mondo. Non riesco ad avvistarlo e contemplo la
natura, sembra di essere sulle Alpi. Purtroppo Ferdinando è andato troppo
avanti e perdiamo circa un‘ora per trovarlo. Questo ci costringe a tornare
con il buio, facciamo i primi incontri con le mandrie, che rientrano dal
pascolo invadendo buona parte della strada ovviamente non illuminata. A
Dinsho dormiamo in un simpatico lodge dopo esserci scaldati intorno al
camino, è Agosto ! Torniamo verso Sashmene; la pista si snoda lungo le
montagne circondata da prati pieni di fiori in uno scenario che ricorda la
Scozia. E’ affollata da pedoni che ci guardano con curiosità , è d’ obbligo
rallentare per non creare incidenti. Le abitazioni sono capanne, facile
immaginare la povertà in cui vive la maggiore parte della gente. I fiumi sono
utilizzati per il bucato, visto che il problema inquinamento è inesistente.
Ci sono alberi e
prati ovunque, in barba alla immagine comune che vuole
l’Etiopia arida e secca. Il tratto in pianura è terra non battuta, il nostro
passaggio alza nubi enormi di polvere costringendoci a superare alla cieca,
più avanti la pista diventa strada bianca mista a polvere sabbiosa, e la
guida è puro divertimento anche per un neofita come me . Proseguiamo da Sashemene verso Awassa, su buon asfalto. Navigando sul lago avvistiamo alcuni
ippopotami che vivono a poca distanza dalle abitazioni. Raggiungiamo Arba
Minch, attraversando la Rift Valley calda e umida, dove forse sono nati i
nostri antenati. Ad Arba Minch visitiamo Chencha con uno stupendo mercato e
le famose capanne con il nasone della popolazione Dorze.
Il giorno seguente solchiamo, in barca, il lago Chamo abitato da enormi
coccodrilli e migliaia di uccelli. Proseguiamo verso Konso, visitiamo alcuni
villaggi nei dintorni tra cui uno che si affaccia su una valle sconvolta da
diverse frane, che hanno lasciato degli aguzzi pinnacoli di terra somiglianti
a grattacieli. Il posto è noto come “New York”. Ormai mi sto assuefando alla
guida su pista, il perenne traballare del manubrio sui sassi mi è familiare.
La pista per Jinka è molto divertente con orizzonti sconfinati a perdita
d’occhio. E’ Africa. Incontriamo le
prime popolazioni Hamer, le donne portano
delle zucche decorate a mo’ di copricapo, i capelli, tagliati a caschetto e
riuniti in trecce che spalmate con
grasso animale e terra assumono un colore
ocra. Le giovani sono molto attraenti mentre gli uomini sfoggiano, seduti sui
tipici sgabelli in legno, corpi atletici e collane colorate. Il mercato ha un
aspetto vivace e l’avvenenza delle donne mi fa trattenere per diverso tempo.
Raggiunta Jinka entriamo nel Mago Park, una delle zone più remote del Paese,
la discesa che conduce al Parco È ripida e coperta di fango scivoloso, non
cado e arrivo illeso al sospirato traguardo. Ci inoltriamo lungo una strada,
interrotta da numerose pozzanghere di grandi dimensioni, che conduce ad un
villaggio Mursi , una delle numerose etnie che abitano il Sud dell’ Etiopia.
Le donne portano il piattello labiale, un disco del diametro di 15-20 cm di
che deforma il labbro inferiore. Questa usanza, di origine sconosciuta,
sembra abbia l’ unica funzione di abbellire la donna e renderla più
desiderabile agli occhi dell’ uomo. Alcuni sostengono, al contrario, che
servisse, ai tempi dello schiavismo, per evitare il rapimento delle fanciulle
poichè ne deturpava l’aspetto. I tempi sono cambiati ed i
Mursi, ormai
avvezzi ai turisti, ci accolgono mettendosi in posa per le foto, a pagamento,
di rito. Fuggiamo poiché il loro assedio è troppo insistente. La tappa
successiva è Turmi che raggiungiamo, percorrendo una splendida pista di terra
rossa in mezzo alla savana. Fortunatamente qualche bella ragazza Hamer fa
capolino, attratta dal rumore delle moto, e non posso evitare di fermarmi per
scattare delle foto. La mia fulgida carriera di pilota viene interrotta da
una caduta, senza conseguenze, lungo uno spettacolare tratto di sabbia
bianca,sovrastato da una austera acacia che assiste immobile al mio
capitombolo. Turmi è un agglomerato di capanne lungo una polverosa strada in
terra battuta. Dormiamo in un “hotel” che è una semplice costruzione in
pietra con finestre senza vetri e porte fatti con tronchi d’albero. Mangiamo
una squisita “ingera”, un piatto tipico a base di salse e carne, depositate
sopra una enorme sfoglia di pane. Contempliamo il cielo, non c’ è
illuminazione elettrica e le stelle sono perfettamente visibili. Il giorno
successivo visitiamo un mercato Hamer, vengo a sapere del “bull jumping”. Il
“Bull Jumping”, come imparerò anche al Museo di Addis Abeba, è un cerimonia
in cui l’adolescente diventa adulto solo se riesce a correre più volte, senza
cadere, sul dorso di dodici o tredici mucche. Nel caso fallisca viene battuto
senza pietà dalle donne.
Proseguiamo per Omorate, detta anche Kelem, posta
sulle rive del fiume Omo, ci accampiamo nel cortile del posto di polizia.
Siamo prossimi ai confini con il Sudan ed il Kenya e l’ impressione è quella
di essere in un angolo estremamente remoto. Visitiamo un villaggio Galep e
tentiamo di raggiungere il Lago Turkana, ai confini con il Kenya. La pista
inizialmente sabbiosa si trasforma in un pantano, causato dalle piogge che
non ci abbandonano, e siamo costretti a tornare sui nostri passi. Da Omorate
iniziamo il lungo ritorno verso Addis Abeba; a Dublock vediamo i pozzi
cantanti del popolo Borana. Questi pozzi sono formati da una catena umana. Il
primo preleva l’acqua dal fondo con un secchio. Ogni membro della catena
passa il proprio secchio al membro successivo fino a che l’ultimo lo vuota
nell’ abbeveratoio del bestiame. Per vincere la fatica tutti cantano una
nenia. Woyto è l’ultima sosta prima di Addis, e ci rilassiamo bagnandoci
nelle sue acqua termali. Ad Addis sbrighiamo le formalità per potere
imbarcare le moto sull’aereo, che arriveranno comunque una settimana dopo di
noi. Il giorno successivo è il nostro momento di imbarcarci sul volo
Addis–Roma. Durante il rientro sorvoliamo il Sudan con il suo immenso deserto
ed il Nilo con il lago Nasser, sono pronto a tornare, ma non in Italia .
Marco Gumina |